Il Надрыв (nadryv) e Dostoevskij

Chi ha avuto l’ardire di cimentarsi nella lettura dell’ultima opera di Fedor Dostoevskij, “I fratelli Karamazov“, avrà forse notato che il quarto capitolo del libro si intitola “Nadryv”. Anche chi ha deciso di ripiegare sulla lettura di un’opera più breve dello stesso autore e ha letto “Le notti bianche” si è scontrato – consapevolmente o meno –  con questo concetto. Il nadryv dostoevskiano è stato identificato dagli studiosi di letteratura e dai traduttori come uno dei tipici esempi di intraducibilità letteraria, come dimostra anche il breve scambio epistolare fra due letterati russi riportato qui sotto.

15 giugno 1949

“Caro Fedor Avgustovich! Come traduci nelle tue lezioni il seguente termine, che è assolutamente indispensabile per la storia della filosofia russa e davvero difficilissimo da restituire in altre lingue? Nadryv. E’ tutto.”

Dmitrij Tschizewskij

30 giugno 1949

“…per quanto riguarda la domanda sulla traduzione, faccio fatica a fornirti una terminologia precisa. […] Nadryv è una parola difficilissima da restituire anche attraverso la traslitterazione: ogni tanto ho parlato di un'”estasi dolorosa” e di  un “veemente guaito dell’anima”. Non penso sia una parola che si possa tradurre chiaramente una volta per tutte, nemmeno se ci fosse concordanza sul significato di un concetto delicato come questo. Nei tre giorni in cui ci ho pensato non mi è ancora venuto in mente nulla di sensato.”

Fedor Avgustovich Stepun

Rifacendosi alle teorie di Wittgenstein, il quale sostiene che il significato di una parola sia comprensibile solo nel suo contesto d’uso e quindi nell’ambito di una data lingua, gli studiosi hanno evidenziato come non sia sempre possibile trasferire un termine da un certo ambito letterario a un altro mantenendo il significato originario della parola. Questo è il motivo per cui il termine nadryv viene riportato direttamente in russo anche nei testi scritti in altre lingue e non viene tradotto. Se siete arrivati fin qui, però, sarete ormai curiosi di scoprire cosa significhi. Tentiamo di spiegarlo, dunque.

Nadryv (in alfabeto cirillico надрыв) è un termine russo composto da due parti: nad (“sopra”) e ryv (“squarcio”). Viene tradotto dai principali dizionari come una “grande tensione emotiva” (quella che in tedesco viene definita emotionale Spannung) e una “lacerazione improvvisa e violenta”, proprio perché nasce dal concetto di strappo e di rottura (in inglese tear, rip). E’ uno dei concetti chiave della produzione letteraria di Fedor Dostoevskij. All’interno dei suoi romanzi lo ritroviamo nei momenti di maggiore tensione, nei quali i personaggi esplodono letteralmente e cadono in uno stato emotivo incontrollato, che spesso li porta a fare profonde riflessioni e autoanalisi, a esprimere i propri sentimenti più intimi e reconditi e a rivelare le proprie (spesso distorte) percezioni del mondo.

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Come accennato all’inizio, fra le opere di Dostoevskij nelle quali troviamo impiegato questo concetto una delle più importanti è “I fratelli Karamazov“. Nel romanzo tutti e tre i fratelli (Dmitrij, Ivan e Aleksej), pur se di indole molto diversa, soffrono internamente di un nadryv che li sconvolge e li attanaglia, ma che al tempo stesso li aiuta a plasmare la propria identità. Questo è particolarmente evidente nel personaggio di Dmitrij, il quale vive la sua vita accompagnato da una profonda lacerazione interna. Da una parte si comporta in un modo burbero e spesso scorretto che lo porta in situazioni scomode, dall’altra vorrebbe diventare un uomo giusto. Questo tormento interiore lo fa soffrire al punto da fargli pensare che tutto ciò sia necessario per guadagnarsi, da bravo Cristiano, la salvezza dell’anima. Il nadryv, dunque, è vissuto da Dmitrij come un metodo di auto-espiazione che passa per la sofferenza psicologica e morale.

In un dettagliato articolo pubblicato da Altervista, Valentina Moretti associa il nadryv alla sensazione di angoscia tipica della cultura russa del XX secolo, nella quale la ripetizione fatale di situazioni di conflitto era considerata il leitmotiv della vita delle classi oppresse. Questa angoscia si sarebbe ripercossa per generazioni nell’animo umano e, secondo alcune teorie, sarebbe insita in esso fin dall’inizio della differenziazione di genere. L’angoscia dell’uomo, quindi, risiederebbe fondamentalmente nella frustrazione provata dall’uomo per l’incompletezza causata da questa lacerazione (si pensi anche al mito di Aristofane narrato nel Simposio di Platone e all’androgino tagliato a metà). 

“Il conflitto interiore dell’essere umano è dunque legato all’irraggiungibilità degli ideali data dalla sua condizione di parzialità, di rottura esteriore ed interiore. Cruciale il concetto di errore, cui può condurre l’angoscia (passi falsi, false valutazioni), laddove l’errore è l’incapacità di distinguere la parte dal tutto, ed è un errore non malizioso, ma fatale, perché causato inesorabilmente dal nadryv”.

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