Ebbene sì, prima o poi doveva capitare. La parola intraducibile di oggi (per scoprire le altre già trattate clicca qui) è proprio lei, una delle parole tedesche più conosciute, citate e bistrattate: Fernweh. Più o meno tutti, presto o tardi, ci siamo già inciampati, che sia nelle descrizioni dei post di Instagram di un amico viaggiatore, in qualche rivista di viaggi o magari addirittura in una guida turistica. Per chi, però, non ne conoscesse ancora il significato o volesse saperne qualcosa di più, ecco un paio di informazioni utili e qualche curiosità.
Das Fernweh, come tante parole tedesche, è il risultato dell'”assemblaggio” di due parti che vanno a comporre un significato terzo: letteralmente fern (lontano) + weh (dolore, doloroso) = “dolore della lontananza“. Attenzione però, perché il senso non è quello che potremmo figurarci a primo acchito, ovvero quello della nostalgia di casa (in quel caso si parla di Heimweh, da Heim, “patria”). Stiamo parlando del concetto opposto, quello della nostalgia di un posto lontano. Per questo motivo il dizionario tedesco-italiano Pons la definisce in prima battuta come “nostalgia” e secondariamente come “voglia di viaggiare“. In generale viene interpretata come la voglia di partire e aprirsi a esperienze nuove e sconosciute, cosa che comporta ovviamente l’abbandono – almeno temporaneo – della quotidianità e del nido familiare.
Lo voglio definire una nostalgia al contrario (Heimweh), un desiderio verso l’ampio invece dell’angusto.
(Johann Wolfgang von Goethe, “Campagna di Francia”, 1822)
Per quanto riguarda l’etimologia della parola, sembra che il termine sia stato coniato dal principe sassone Hermann Ludwig Heinrich von Pückler-Moskau (mai nome fu più tedesco), artista e scrittore vissuto a cavallo fra Settecento e Ottocento e noto per avere viaggiato molto in Europa e in Africa. Il principe ha utilizzato diverse volte questo nuovo termine all’interno dei suoi scritti di viaggio, contrapponendolo proprio all’Heimweh, del quale sosteneva invece di non soffrire. Fu a partire da lui che Fernweh entrò nel linguaggio poetico, fino ad arrivare a essere utilizzata, oggi, anche nel settore del turismo: questa parola, infatti, ha un grande potenziale per la promozione turistica di destinazioni lontane e, di conseguenza, può rivelarsi un ottimo strumento di marketing all’interno delle campagne pubblicitarie, magari coniugato con l’immagine giusta.
Vi sarà capitato di sentire un’altra parola spesso accostata a Fernweh: si tratta di Wanderlust, un altro termine del quale spesso si abusa nel mondo dei social contemporanei, che hanno elevato il viaggio e l’avventura a primari obiettivi di chi voglia sentirsi davvero realizzato nel mondo virtuale (e soprattutto postare foto di paesaggi mozzafiato). Nato dalla lingua alto-tedesca e prestato a quella inglese, il termine significa “desiderio di viaggiare, voglia di vagabondare” (da wandern, “camminare, vagabondare, errare” + Lust, “voglia desiderio”). In psicologia si parla addirittura di sindrome di Wanderlust per indicare la vera e propria ossessione di andare altrove e di cercare qualcos’altro, non solo con l’intento di sfidarsi per crescere, ma anche con quello di lasciarsi alle spalle una situazione negativa o di rifiutare date condizioni sociali.
La tematica del viaggio e della voglia di andare lontano è cara al romanticismo tedesco: la figura del viandante solitario alla ricerca di sé stesso, in viaggio non tanto per raggiungere un luogo preciso, quanto per seguire quel richiamo della natura e dell’indistinto, spopola nella letteratura, nella poesia, nella pittura e nella musica dell’epoca. Pensiamo al famosissimo quadro “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich, alla Wanderer-Fantasie di Franz Schubert, alle poesie di Eichendorff o agli scritti di Johann Wolfgang Goethe, i cui personaggi spesso ben incarnano i sentimenti di Fernweh e Wanderlust.
Ja wohl bin ich nur ein Wandrer, ein Waller auf der Erde! Seid ihr denn mehr?
“Certo, sono solo un vagabondo che si aggira sulla terra! Siete voi forse qualcosa di più?”
Johann Wolfgang von Goethe, “I dolori del giovane Werther”, 1774

Per concludere, propongo un piccolo spunto di lettura per i germanisti: “Von vor und nach der Reise” di Theodor Fontane, una raccolta di racconti pubblicata nel 1873 che raccoglie ogni genere di riflessioni sul tema del viaggio e delle esperienze che si porta dietro.