Aware: la malinconia per la caducità della bellezza e della vita

C’è un’immagine di grande bellezza che, nell’immaginario collettivo, è direttamente collegata con il Giappone: si tratta di quella dei ciliegi in fiore in primavera. Il breve ma spettacolare fenomeno della fioritura di questi alberi, che dura solo un paio di settimane, è un esempio perfetto di ciò che causa nell’ammirato spettatore un sentimento di aware. Si potrebbe cercare di rendere questo termine con “pathos”, “emozione”, “malinconia” o “ammirazione”, ma ognuna di queste concise traduzioni risulterebbe incompleta e non coinciderebbe con l’originale espressione giapponese. Scopriamo perché.

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Nella lingua giapponese il termine aware, spesso inserito nella più ampia espressione mono no aware (物の哀れ), sta a indicare una forte sensazione di partecipazione emotiva alla bellezza della natura e della vita umana. Tale partecipazione è unita alla consapevolezza della caducità di ciò di cui siamo testimoni e quindi convive con un senso di dolceamara malinconia. Parlando di aware, dunque, ci troviamo davanti a un termine particolarmente ricco e articolato, che racchiude al suo interno molteplici livelli di significato esprimibili in italiano solo con una perifrasi. Proprio in virtù della sua pregnanza, il concetto di aware è presto andato a ricoprire un ruolo centrale nella cultura giapponese e nel buddhismo.

mono no awareSembra che il termine sia nato in tempi antichi dalle due espressioni “aa” e “hare” (che insieme stavano a significare “Ah, che luna”), poi confluite durante il periodo Nara nell’unica parola aware. Da allora venne usato per indicare una sensazione di emozione, ammirazione e turbamento d’animo davanti alla bellezza (spesso dei fenomeni naturali, ma anche della vita umana). Fu solo nel periodo Heian, però, che aware si affermò come concetto estetico trattato nella poesia e nella letteratura giapponese e iniziò a essere scritto con i caratteri 哀れ, che richiamano la tristezza e la compassione oltre all’originaria ammirazione. Nel periodo Tokugawa, infine, l’erudito Motoori Norinaga teorizzò questo concetto unendo al termine aware la parola mono (che significa “cose”) e creando l’espressione oggi maggiormente diffusa, mono no aware (letteralmente “il pathos delle cose”). Questa indica appunto la sensibilità estetica derivante dall’ammirazione della bellezza e della caducità di ciò che ci circonda.

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Motoori Norinaga ( 本居 宣長), 1730-1801

Va notato che la consapevolezza e l’accettazione del fatto che tutto ciò che vi è di bello al mondo sia transeunte non carica l’aware di una connotazione negativa, bensì gli conferisce un tono di dolceamara malinconia. Uno stato d’animo pacato e consapevole è, d’altra parte, una delle principali qualità identificate dalla filosofia buddista per poter vivere in modo saggio, apprezzando la bellezza delle cose proprio perché fuggevole e accettando la caducità della vita senza disperazione. Questa tematica si presta molto bene non solo alla poesia e alla letteratura, ma anche all’arte: per questo motivo l’aware è da sempre alla base di moltissime rappresentazioni artistiche dell’hanami, ovvero della fioritura dei ciliegi, fenomeno naturale simbolo di bellezza e caducità per eccellenza.

Anche in epoca contemporanea l’aware continua a ispirare riflessioni letterarie e opere artistiche di vario genere: lo scrittore anglo-giapponese Kazuo Ishiguro, per esempio, ne ha fatto il motivo di fondo di “The remains of the day” (1989), il primo romanzo che lo ha portato al successo fino a fargli ottenere il premio Nobel per la letteratura nel 2017. Successivamente è tornato a trattare il tema anche nel suo ultimo successo letterario, “The buried giant“, uscito nel 2015. Nelle opere di Ishiguro le tematiche del tempo che passa, della persistenza della memoria e della malinconia si fondono perfettamente con la trattazione del passato e della sua bellezza, riuscendo a portare l’originale concetto estetico dell’antico pensiero giapponese a nuovi livelli di profondità e adattandolo efficacemente all’analisi della società contemporanea.

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